martedì 29 marzo 2011

Tipo padano.

Uno. Durante una gita in Franciacorta mi fermo da un benzinaio. È ora di pranzo, non c'è nessuno, così inserisco un biglietto da 20 euro nella macchinetta. La pompa sgocciola qualche centesimo di gasolio, poi si inceppa e mi sputa una ricevuta che mi dà diritto al rimborso di quasi tutta la somma. Mancano più di due ore alla riapertura pomeridiana, così decido di entrare nel bar accanto per chiedere aiuto. Appena dico che ho avuto un problema con il distributore, prima ancora che possa esprimere una qualunque richiesta, vengo investito dal risentimento gutturale del barista che mi dice malamente che lui non c'entra niente, che non è affar suo, che il benzinaio ritorna alle tre e mezza e devo parlare con lui. Io me ne vado con la mia ricevutina in tasca (che conservo tuttora), e lui ci rimette come minimo un paio di panini con altrettanti bicchieri di brut che avremmo potuto prendere nell'attesa, se l'ambiente fosse stato più accogliente.
Due. Vicino a casa mia c'è l'ambulatorio di un medico, noto esponente locale della Lega Nord. Da anni, prima di ogni festività, compresi Pasqua, Natale e Capodanno (tranne, ovviamente, il 17 marzo), l'uomo espone un foglio scritto a mano con la frase "Prefestivo chiuso". Lo scorso Natale la mano pedagogica e caritatevole di un probabile paziente esasperato ha aggiunto a penna: "ma scrivi almeno auguri, somaro!". Aspetto Pasqua per vedere, ma ho poca fiducia che la lezione sia arrivata al destinatario.
Tre. Un vicino di casa dei miei genitori si lamenta con loro delle buche nell'asfalto davanti alla propria abitazione. Trattandosi di un uomo anche troppo solerte quando si tratta di badare ai propri interessi, mia madre gli chiede perché non abbia ancora segnalato il problema al Comune. La risposta è che così ne beneficerebbe anche la vicina che abita poco più in là, con la quale ha avuto una discussione pochi giorni prima. Pur di non avvantaggiare un'altra persona quest'uomo è disposto a sopportare un proprio disagio: il gusto di fare un dispetto non ha prezzo.

Il barista, il medico, il vicino di casa sono piccoli e banali esemplari dell'uomo nuovo leghista (per il barista è solo un sospetto, ma i suoi figli, se ne ha, frequentano una scuola famosa per decorazioni verdi di dubbio gusto), che abita una terra senza amore, dove manca persino l'intelligenza per capire che la qualità della vita non si costruisce nella spietata devastazione urbanistica. Le distese di capannoni e villette pastello che hanno trasformato la Franciacorta in una specie di no man's land, in un anonimo santuario diffuso dell'individualismo produttivo, non sono altro che la proiezione ambientale dell'arida miseria emotiva che abita nell'animo di queste persone. Qui non si tratta di una semplice inclinazione politica, ma ci troviamo di fronte a un tipo antropologico nuovo, costruito negli ultimi vent'anni da una predicazione fatta di chiusura e di paura, che ha sdoganato e reso legittimi gli istinti più retrivi.
La storia e la biologia faranno comunque il loro corso mescolatore e le bandiere si riferiranno a territori sempre più vasti, fino a perdersi del tutto. Ma la cosa inquietante ora non è che questi signori si credano "gli unici difensori dei valori cristiani" (in democrazia anche credersi fratelli del Grande Coniglio Mannaro è legittimo), ma che, 500 anni dopo Lutero, ci sia ancora qualcuno disposto a crederci.